Day 11 – Il dispensario
10 ottobre 15:12
Dispensario, esperienza mistica.
Non mi è ben chiaro cosa sia un “dispensario”, ma sembrerebbe una sorta di centro medico dove però lavorano solo infermieri, non veri e propri dottori.
Questa mattina Hammed, uno dei due gemellini, si è presentato al centro con una ferita aperta sul dorso del piede e il terzo dito gonfio il doppio degli altri.
Le nostre ben limitate conoscenze mediche, unite al fatto che il bambino stava praticamente zoppicando, ci hanno spinto a portarlo qui, al dispensario, dato che l’ospedale è troppo lontano.
Siamo qua ormai da mezz’ora e la situazione è la seguente: gli infermieri stanno pranzando da quando siamo arrivati e non sembrano minimamente intenzionati a terminare, mentre nel piazzale di quello che dovrebbe essere una sorta di pronto soccorso circolano liberamente capre e una decina di gatti denutriti e moribondi.
La sporcizia ormai è un must, la noto ma non mi sorprende più.
Partire con la jeep da casa è stata un’ulteriore impresa, date le quindici bambine strillanti che si attaccavano a sportelli e baule per cercare di venire con noi (l’immagine di scimmiette urlatrici è più che calzante).
Speriamo ne sia valsa la pena.
Stamattina invece abbiamo fatto un giro tra le case del villaggio e avere un telefono in grado di scattare foto ha reso la nostra compagnia estremamente desiderabile agli occhi dei bambini.
In quattro e quattr’otto sono stata assalita da un’orda di bimbe sovraeccitate che desideravano fotografarsi con me – potrebbe trattarsi delle stesse che poi hanno cercato di braccare la jeep, ma non ne ho la certezza.
Comunque lo ammetto, è stato bellissimo! 🙂

L’orda di bimbe

Un bimbo del villaggio

Dispensario

Il piazzale del dispensario

“Medicazione”
10 ottobre 20:40
Dispensario bocciato.
- Diagnosi: infezione al terzo dito del piede sinistro.
- Medicazione: hanno disinfettato il dito, ma non hanno potuto fasciarlo perché mancava il materiale (chiedono quindi se possiamo occuparcene noi a casa).
- Cura: inesistente.
- Risultato: potevamo tranquillamente utilizzare il pomeriggio in modo più produttivo.
- Ipotesi: chissà se Hammed arriverà a 6 anni con tutte e 10 le dita dei piedi.
Ora siamo al ristorantino da Baby, come al solito.
I ragazzi adorano venire qui. Io no, mi sento una bastarda occidentale.
Questa volta la “scusa” è che a Marco non piacevano i piselli della cena, la quale componendosi di piselli, patate e carote, non gli ha dato molto modo di nutrirsi.
Anche stasera abbiamo visto il nostro amico Jerry (ndr – il topo) aggirarsi per la cucina, ma ormai è un habitué. A patto di non vederlo uscire letteralmente dalla pentola, penso che a questo punto nessuno di noi se ne lascerà condizionare la vita più di tanto.
Anche se il dubbio che a portarci qui non siano stati i piselli, ma Jerry, mi sfiora i pensieri. Non indago e li seguo controvoglia.
Da Baby c’è sempre un bianco sulle sessantina, parla perfettamente sia il francese che l’inglese, ma non so di che nazionalità sia.
È sempre, sempre lì. Cosa che mi fa riflettere, perché il fatto che lo vediamo sempre, implica che stiamo da Baby almeno tanto quanto lui.
Ogni giorno è in compagnia di gente diversa. A questo giro a deliziarlo c’è una bella signora, anche lei sulla sessantina dai lineamenti occidentali, e bevono del vino bianco.
Troviamo sempre anche un altro signore, probabilmente più vecchio e molto più trasandato. Sembra esserci rimasto sotto con le droghe, a dirla tutta.
Ogni sera sta appollaiato su una sedia che si porta sul bagno asciuga, fuori dal porticato di Baby. A differenza dell’altro, lui è sempre da solo.
Li guardo e cerco di immaginare la loro storia. Due strade sicuramente molto diverse, che però li hanno portati entrambi qui, a Toubab Dialaw.
Potrei mai mollare tutto e venire a vivere in Africa? Forse no.
Sicuramente un tassello della mia anima rimarrà per sempre legato a questo pezzo di costa, ma non potrei passare la mia vita qui.
Forse per il semplice fatto che ora come ora non potrei passare la mia intera vita in nessun posto.
L’unico bisogno che sento davvero è quello di esplorare il mondo e l’idea di stabilirmi, in un qualsiasi luogo, mi toglie l’aria dai polmoni.